Il Collegio dei docenti del Liceo cantonale di Lugano 1 con la seguente presa di posizione risponde alla consultazione indetta dal DECS sul rapporto La scuola che verrà.

In considerazione del fatto che il rapporto La scuola che verrà contiene un ampio ventaglio di proposte di riforma della scuola dell’obbligo, in questo documento prendiamo posizione concentrandoci su quei temi che riteniamo sensibili o rilevanti a partire dal nostro specifico punto di vista. Ciò non significa che sottovalutiamo le osservazioni, anche di carattere spiccatamente critico, che provengono dai colleghi della scuola dell’obbligo (e soprattutto di quelli del settore medio) e da altre parti (come per esempio i sindacati oppure il Movimento della Scuola che ha elaborato un documento che offre un’approfondita analisi degli aspetti culturali,
epistemologici e pedagogici del progetto): al contrario, riteniamo queste prese di posizione molto importanti e meritevoli di una puntuale e scrupolosa considerazione.

1. Il ruolo dei docenti nella riforma
Salutiamo con favore il fatto che, da quando ha preso avvio la discussione sul progetto “La scuola che verrà”, l’autorità scolastica abbia dedicato tempo ed energie all’incontro con i docenti e i Collegi. Senza voler mettere in discussione le buone intenzioni di chi si mette a disposizione per il confronto, ci sembra tuttavia che tali incontri siano stati pensati soprattutto
quali momenti per spiegare, a chi non le avesse ancora colte, le ragioni della riforma e meno come occasioni utili per sondare i reali bisogni provenienti dal corpo docenti. Constatiamo una tendenza in questi ultimi anni, che va al di là del progetto concreto, a definire i termini delle
riforme prevalentemente a partire da indicazioni esterne al mondo della scuola, che siano i risultati più recenti – spesso cangianti, a volte contraddittori – della ricerca nelle scienze dell’educazione o le pressioni politiche all’uniformazione dei sistemi scolastici che si registrano
a livello globale. È mancato, già nelle fasi iniziali dell’elaborazione del progetto, un coinvolgimento sostanziale (e non marginale) degli insegnanti, così che – anche nei gruppi di lavoro – ne sia riconosciuto il ruolo professionale in termini qualitativi e quantitativi e sia evitato il rischio che la loro voce serva al massimo per apportare dei correttivi a scelte già
in gran parte definite. In altri termini: per evitare di appiattire su modelli omogeneizzanti una scuola unica e apprezzata, che il dato PISA più recente indica come in buona salute, occorre riaffermare il ruolo decisivo e attivo degli insegnanti nella definizione di una riforma di questa portata.

2. Le condizioni di lavoro dei docenti a vantaggio degli allievi
Passando all’esame del documento, colpisce il significativo aumento, in termini di impegno, delle richieste avanzate nei confronti dei docenti: si pensi ai compiti aggiuntivi determinati dalla generalizzazione delle pratiche di differenziazione pedagogica, dalle nuove modalità di
valutazione o dalla diffusione degli interventi in co-docenza. Ciò in una fase dove gli insegnanti, indipendentemente dall’ordine scolastico, si sono già visti confrontati con un aggravio costante, se non con un deterioramento delle condizioni lavorative, legato al moltiplicarsi dei compiti che la società attribuisce – più o meno esplicitamente – al mondo
dell’istruzione. In un simile contesto è fondamentale garantire che le proposte di innovazione, aumentando gli oneri e le responsabilità, non si traducano in un peggioramento dell’efficacia didattica e in un’ulteriore perdita di attrattiva della professione. Per farlo serve un intervento
più coraggioso – rispetto a quanto previsto dal progetto “La scuola che verrà” – su due nodi che, a nostro parere, vanno considerati centrali in ogni discussione sulla scuola e sulle sue prospettive.

  • Da un lato occorre, come nucleo di una qualsiasi riforma che ambisce a migliorare significativamente la scuola dell’obbligo, prevedere una diminuzione più consistente e strutturale del numero degli allievi per classe (o degli allievi per “gruppo a effettivi ridotti”): di fronte alla realtà sociale che oggi contraddistingue il complesso mondo della scuola si tratta – prima di altre misure d’insegnamento differenziato mediante laboratori, atelier ecc. – di una condizione determinante per permettere al maggior numero di studenti di raggiungere risultati adeguati agli obiettivi didattici e per difendere i principi stessi della riforma, promuovendo una scuola equa e di qualità.
  • Dall’altro lato occorre che in modo sensibile le ore di insegnamento dei docenti vengano ridotte, in linea con quanto previsto in situazioni simili a quella auspicata dal progetto “La scuola che verrà”: ad esempio la Finlandia, dove vige un sistema integrativo spesso indicato
    come modello e dove, nel settore secondario I, il carico di ore annuali è di meno di 600 ore per docente (dato tratto da Regards sur l’éducation 2011. Les indicateurs de l’OCDE), contro le attuali 760 ore circa dell’insegnante di scuola media in Ticino (queste ultime diventerebbero 700 nell’ipotesi, non affatto scontata, di una riduzione del carico orario a 23 ore settimanali). A questo proposito ci chiediamo se non abbiano pesato in misura eccessiva, nel delineare i termini delle proposte formulate su questo terreno, i vincoli finanziari che da anni ormai impediscono seri investimenti nel settore educativo.

In merito alle condizioni di lavoro degli insegnanti preoccupa poi il prospettato aumento delle responsabilità affidate alla figura del docente di classe, chiamato – oltre che a formulare i giudizi sulle competenze trasversali degli allievi (in collaborazione con il consiglio di classe) – anche a svolgere un «lavoro approfondito a livello individuale» (p. 37 del documento) in materia di orientamento e a collaborare da vicino con l’orientatore di sede, assumendo di fatto un ruolo chiave nella decisione del futuro degli allievi e in particolare nella transizione alla formazione postobbligatoria. Rispetto alla delicatezza di questo compito – che si va ad aggiungere alle già numerose incombenze legate a questo ruolo – ci preoccupa che il progetto non preveda al riguardo un significativo sgravio orario (nel testo si parla di un’ora soltanto), anche in considerazione del fatto che i nuovi compiti richiederanno ai docenti di classe anche
un maggiore investimento in termini di formazione e aggiornamento per svolgere la loro mansione così come prospettato dal progetto “La scuola che verrà”. Né va sottaciuto l’ulteriore aggravio che potrebbe derivare dal fatto che non sembra garantita la necessaria continuità nella relazione con gli allievi, a causa dell’adozione di una griglia oraria ‘a blocchi’ in cui l’insegnante rischia, in alcuni periodi dell’anno, di avere solo l’ora di classe per interagire con i suoi studenti.

3. La transizione alla formazione post-obbligatoria

3.1 Orientamento e distorsioni nell’offerta formativa postobbligatoria
Da molte parti si conviene che uno degli aspetti critici della riforma è quello della transizione alla formazione postobbligatoria. A questo riguardo nel documento posto in consultazione si legge (a p. 37) che, dopo le controversie emerse nel corso della prima consultazione, si è «deciso di riorientare la proposta, mantenendone tuttavia il principio», che consiste in un buon sistema di orientamento degli allievi in uscita dalla scuola media, ritenuto «più convincente di una semplice media aritmetica, anche se prescrittiva». A questo scopo viene introdotto lo strumento delle «raccomandazioni sui criteri di accesso» ovvero «indicazioni sulle caratteristiche individuali e di riuscita scolastica che possono favorire buone probabilità di successo». Posto che è interesse di tutti che i giovani seguano il percorso di formazione per cui sono più motivati e che meglio rispecchia le loro capacità, e pur cogliendo le ragioni che spingono verso un superamento dell’attuale situazione, ci sembra che la proposta del progetto “La scuola che verrà” sollevi ancora delle perplessità, poiché sottovaluta la presenza di ostacoli oggettivi all’applicazione dei suoi stessi principi all’interno della realtà scolastica ticinese. Un problema di fondo, che riteniamo debba essere chiarito prima che si possa passare a una fase applicativa di questo punto della riforma, è l’inadeguatezza dell’attuale offerta formativa postobbligatoria che, soprattutto nel settore professionale, ha mostrato di non essere in grado di assorbire tutti i giovani interessati. Il cambiamento del criterio di accesso alle scuole medie superiori, come preconizzato dal progetto “La scuola che verrà”, si tradurrebbe infatti in una distorsione delle condizioni di accesso tra le scuole ad accesso libero e quelle (sostanzialmente del settore professionale) che manterrebbero, di fatto, il numero chiuso. Riteniamo invece che, per dare effettiva validità agli sforzi previsti dalla nuova scuola nell’ambito dell’orientamento degli allievi, andrebbe garantito il libero accesso a tutte le scuole di formazione secondaria o, perlomeno, a un numero più ampio di istituti, a partire da quelli coinvolti nella formazione professionale a tempo pieno.

3.2 Il passaggio dalla scuola media a quella medio superiore nell’attuale contesto formativo
Strettamente legato al problema dell’offerta formativa è quello del progressivo mutamento dello statuto degli studi liceali all’interno della società che sempre più sembrano fungere da ‘ammortizzatore sociale’, e ciò non solo per le decine di studenti che vengono scartati dalle scuole professionali, ma anche per quei giovani che vedono nel liceo non tanto un percorso di formazione culturale, ma più semplicemente una possibilità di «differire di qualche anno la proiezione di se stessi nel mercato del lavoro» (cfr. SUPSI, Scuola a tutto campo, 2015, p. 63) all’interno di un quadro economico e culturale mutevole che ostacola oggettivamente la chiarezza progettuale richiesta dalle scelte professionalizzanti. In questo contesto è legittimo chiedersi quanto possa incidere la pur lodevole proposta di potenziamento del sistema di orientamento prevista nel progetto “La scuola che verrà”. Dal nostro punto d’osservazione riteniamo che la riforma – abolendo i criteri d’accesso e pur rafforzando l’efficacia dell’orientamento – non solo non arginerà, ma incrementerà l’afflusso verso il liceo di studenti poco motivati e poco portati per questo tipo di studi, a cominciare da coloro
che ogni anno si iscrivono (nonostante le indicazioni che emergono dalla licenza di scuola media) e falliscono gli esami d’ammissione.
In altri termini: prima che vengano cambiati significativamente i criteri di accesso alle scuole medie superiori chiediamo che le autorità scolastiche approfondiscano, in una prospettiva globale, il problema del più che probabile aumento degli iscritti nelle scuole medie superiori e della crescente disomogeneità dei livelli in entrata, anche in considerazione del fatto che il passaggio a un grado scolastico superiore per molti studenti risulta in ogni caso difficoltoso a causa dell’aumento degli impegni scolastici.
Non è invece accettabile che la soluzione o perlomeno la valutazione di questi problemi venga demandata, una volta avviata l’attuazione della riforma “La scuola che verrà”, alle stesse scuole medie superiori, senza che queste abbiano i mezzi per farsene carico (infatti proprio negli ultimi anni gli istituti SMS si sono visti confrontati con nuove e reiterate limitazioni delle risorse messe a disposizione, compreso l’aumento del numero di allievi per classe). Le scuole medie superiori, poste di fronte al fatto compiuto di cambiamenti significativi riguardanti il passaggio (sempre e comunque delicato) dal settore medio a quello medio superiore, rischierebbero di non poter garantire come finora un insegnamento di qualità, soprattutto nel primo anno, oppure di dover inasprire il proprio tasso di selettività, tenuto conto anche delle esigenze e richieste che a loro volta si presentano al momento del passaggio dal settore medio superiore a quello della formazione superiore (Università, Scuole universitarie professionali ecc.).

3.3. Il passaggio al settore medio superiore: la nostra richiesta e la nostra disponibilità
Per tutte queste ragioni riteniamo che, fintanto che l’offerta formativa postobbligatoria (professionale e non) nel Canton Ticino non sarà più equilibrata e meglio attrezzata per affrontare cambiamenti di rilievo del sistema, debba essere mantenuto un criterio di accesso alle scuole medie superiori basato su elementi prescrittivi quali il raggiungimento, alla fine della scuola dell’obbligo, di una determinata media o di altri risultati scolastici qualificanti.
Rimaniamo invece disponibili a una riflessione più approfondita volta a migliorare l’attuale sistema di transizione al settore medio superiore mediante un confronto che coinvolga a pieno titolo le scuole medie superiori e i docenti di quel settore: in questa prospettiva e a queste
condizioni potrebbe in futuro pure essere preso in considerazione il passaggio a un sistema come quello delle raccomandazioni indicato nel progetto, purché attuato in un quadro significativamente migliorato e non più segnato da distorsioni strutturali, come quelle evidenziate al punto 3.1.

4. La valutazione delle competenze
Vogliamo infine porre l’attenzione sul tema della valutazione delle competenze. Non ci sfugge infatti che le grandi novità didattiche apportate dal recente Piano degli studi della scuola dell’obbligo e incarnate dal progetto “La scuola che verrà” avranno a lungo termine ricadute dirette sui metodi e forse sulla struttura stessa dell’insegnamento liceale, e ciò nella prospettiva di offrire agli studenti un percorso di formazione il più possibile coerente. Ciò richiede però uno sforzo per immaginare e progettare il liceo del futuro a partire dal nuovo assetto della scuola media. In questa ottica ci preoccupa che la riforma, così come formulata, di fatto favorirebbe l’affermazione di processi macchinosi e standardizzati di valutazione delle competenze, tali da smarrire il profilo del singolo allievo e da trasmettere agli allievi e ai docenti stessi una visione fin troppo strutturata e parcellizzata dell’atto educativo e delle sue finalità, in netto contrasto con l’ideale di una scuola che, dal nostro punto di vista, dovrebbe cercare, ad ogni livello, di maturare e trasmettere uno sguardo olistico sull’uomo, sul mondo e sulla cultura. Si prenda ad esempio il modello di ‘quadro descrittivo sommativo’ presente nel documento (p. 35) che, per esigenze di praticità, ha sostituito gli specchietti con indicazioni scritte proposti nel documento del 2014 (La scuola che verrà. Idee per una riforma tra continuità e innovazione, 2014, pp. 24-25) e che si ispira al Quadro comune europeo di riferimento per le lingue. L’impressione è che un quadro così generico e uniformato tradisca del tutto l’aspirazione iniziale del progetto “La scuola che verrà” a offrire una descrizione più accurata e personalizzata degli allievi, in grado di supportarne «il processo di orientamento» (p. 33) e che, per questa via, si finisca per incentivare gli automatismi nella valutazione, affidata a descrittori prestabiliti, che potrebbero allontanare ulteriormente i docenti dalla reale conoscenza degli studenti, forse anche in nome di una illusoria maggiore ‘oggettivazione’ ed equità dei giudizi. Riteniamo pertanto che sia più coerente con gli stessi principi che animano il progetto “La scuola che verrà” la traduzione del quadro dell’allievo in un discorso articolato e strutturato, pur consapevoli del fatto che tale modalità rappresenti un ulteriore aggravio di lavoro per i docenti, e in particolare per il docente di classe. Perciò, pure da questo punto di vista riteniamo che il progetto “La scuola che verrà” dovrà approfondire la riflessione su una conveniente attuazione della valutazione delle competenze, nonché sugli spazi e sulle risorse anche temporali che a questo scopo dovranno essere messe a disposizione degli insegnanti a vantaggio degli allievi toccati da questa riforma.

5. Conclusione: riassunto della nostra presa di posizione
In conclusione, riassumiamo le considerazioni espresse in queste pagine nel modo seguente.

  1. Auspichiamo un maggiore coinvolgimento degli insegnanti di materia e degli esperti di scuola media nell’elaborazione di un progetto importante e profondo quale è “La scuola che verrà”.
  2. Siamo convinti che il successo qualitativo di una riforma come “La scuola che verrà” sia strettamente connesso con la diminuzione del numero di allievi per classe/gruppo e con una significativa riduzione dell’onere d’insegnamento (non di lavoro!) degli insegnanti che, nell’ambito della riforma, si vedono posti di fronte a nuove mansioni di grande rilievo. Da questo punto ci sembra che il progetto “La scuola che verrà”, pur andando nella giusta direzione, sia chiaramente insufficiente.
  3. Riteniamo che, fintanto che non saranno state eliminate le distorsioni nell’offerta delle formazioni postobbligatorie (dovute soprattutto agli accessi limitati alle scuole professionali e alla tendenza a considerare le scuole medie superiori come un ‘ripiego’), sarà necessario continuare a regolare il passaggio alle scuole medie superiori mediante criteri basati sul raggiungimento di determinati risultati
    scolastici al termine della scuola dell’obbligo. Tuttavia, una volta risolte le distorsioni, siamo aperti a riflettere su un sistema diverso basato sulle raccomandazioni.
  4. Per quanto attiene alla valutazione delle competenze degli studenti, riteniamo che occorre contrastare, anche mettendo a disposizione le risorse necessarie, tendenze che portino a macchinosi processi di valutazione standardizzata che rischiano di essere inadeguati per una valorizzazione complessiva degli allievi della scuola dell’obbligo.