Il Plenum Docenti di Bellinzona 1 ha accolto favorevolmente la possibilità di partecipare a questa consultazione e si è riunito per analizzare in maniera dettagliata e puntuale il documento “Profilo e compiti istituzionali dell’insegnante della scuola ticinese”. Per questa presa di posizione si è quindi reso necessario investire tempo libero di numerosi docenti, dato che l’anno scolastico in corso non permette di trovare degli spazi nell’orario di lavoro per dedicarsi a queste pur importanti questioni.

Sicuramente la promozione di buone pratiche nell’insegnamento e degli atteggiamenti maggiormente idonei sono aspetti che ci stanno molto a cuore, soprattutto a fronte di una mancanza di valorizzazione e di sostegno nell’esercizio della nostra professione. Se a una prima lettura il Profilo sembra mirare allo stesso obiettivo, un’analisi più approfondita fa invece emergere le caratteristiche di un mansionario che non evidenzia sufficientemente le priorità. Senza una valorizzazione e una gerarchia delle competenze condivisibili richieste ai docenti, viene quindi a mancare anche un sostegno per la loro messa in pratica.

È stata inquadrata come aspetto di particolare rilevanza l’ambiguità nell’individuazione del destinatario finale del documento. È probabile che l’intenzione fosse di redigere un documento aperto e universale, ma questo naturalmente ne inficia la chiarezza, l’applicabilità, l’efficacia e di conseguenza il senso stesso.

Non si è potuto fare a meno di rilevare la posizione servile e funzionale riservata alla Cultura all’interno delle strutture scolastiche e del corpo docenti stesso. Essa, in realtà centrale e fondante, viene liquidata in maniera sbrigativa e superficiale, quasi come ci si sentisse in obbligo di menzionarla senza però crederci troppo. Nel documento non si è data nessuna priorità alla cultura che invece è punto di partenza, motore e scopo della professione insegnante. Si è riscontrata la mancanza di gerarchia nelle caratteristiche che un docente dovrebbe avere quasi come se la “motivazione verso l’innovazione tecnologica” fosse equivalente ad una solida formazione accademica e ad una forte motivazione alla divulgazione del sapere. Tale mancanza fa altresì in modo che nel documento non vengano evidenziate le basi culturali che i docenti hanno acquisito durante i lunghi anni di studio. Inoltre, molte competenze rimangono inespresse o troppo generali e dal testo emesso dal DECS non viene fornita al docente nessuna indicazione d’applicazione. Le indicazioni circa le competenze non possono essere una “wishlist”, ma devono essere uno strumento puntuale e preciso che possa fungere da orientamento nella sua pratica professionale.

Da tempo, e da più parti, si è segnalato il pericolo del moltiplicarsi dei compiti educativi assunti dall’insegnante che rischiano di compromettere il ruolo primario che la Scuola deve avere. Gli articoli 1 e 2 della Legge della Scuola, in questo senso, si esprimono molto chiaramente.
Nella società moderna, in ogni settore professionale, si è recepito il primato degli obiettivi conseguiti rispetto alla stretta aderenza a mansionari precompilati; l’elencazione delle supposte competenze ha pertanto una nuance decisamente sorpassata. Inoltre, come per tutte le altre figure professionali anche per il docente deve valere una certa libertà ed autonomia e egli non può essere ingabbiato in un ruolo di mero esecutore di volontà imposte. Egli è un professionista responsabile e dotato di senso critico, in grado di intercettare precocemente situazioni in continuo mutamento che richiedono soluzioni ad hoc.
Il documento promulgato dal DECS contiene già nell’introduzione un peccato originale. Esso si rivolge sia agli aspiranti abilitandi, sia a docenti con esperienza trentennale, come pure ai direttori (con non espresse ma sottointese indicazioni di vigilanza), ai docenti di ogni ordine di scuola, ai municipi e alla cittadinanza tutta. A questo proposito c’è stata unanimità di giudizio circa l’inconsistenza del destinatario finale di questo documento e la correlata genericità che delude le attese.
Se l’impostazione universale del documento voleva essere uno sprone per migliorare la comprensione reciproca e le sinergie tra vari segmenti della scuola e della società esso non raggiunge il suo scopo e andrebbe quindi riprogettato tenendo presente il contesto storico e sociale che stiamo vivendo. Lungi dal testo il promuovere collaborazioni, tradendo l’introduzione, esso si esaurisce ben presto in un vago elenco di direttive, più o meno applicabili, e in un mansionario. Se l’obiettivo di questo documento voleva essere quello di migliorare la percezione della professionalità del docente in seno all’opinione pubblica esso fallisce e, anzi potrebbe diventare uno strumento impugnabile da una persona esterna alla struttura scolastica insoddisfatta, in maniera arbitraria, circa il rispetto delle competenze richieste. Se l’obiettivo era redarguire docenti recalcitranti alle nuove impostazioni pedagogiche esso si rivela inutile poiché non specifica chi e come dovrebbe vigilare in tal senso.
Se infine esso voleva essere un manifesto di auspici per una scuola migliore e per una società civile che meglio ne comprenda il lavoro, i sacrifici e gli oneri, ci pare che abbia mancato di centrare il bersaglio. Il “lavoro” del docente, che si vuole rendere visibile all’opinione pubblica, si esplicita anche attraverso comunicati stampa regolari che ne ricordino i risultati, con il sostegno dell’autorità anche mediante i mass-media e con un maggior coinvolgimento del personale docente ai processi decisionali, non con un profilo confuso che vorrebbe essere un mantello universale.
È opinione condivisa tra molti docenti che la stesura di documenti con un impatto così rilevante sulla vita professionale debba necessariamente coinvolgere i docenti stessi. Si percepisce ad ogni pagina l’esercizio di stile fatto dai redattori, come un legislatore che scrivesse norme universali senza conoscere la società alla quale devono essere applicate. Ogni progetto, ogni mutamento, ogni indicazione racchiude in sé un impatto: professionale, finanziario, sociologico e umano. La lezione delle società complesse ci ha insegnato come le migliori regole e le norme più rispettate siano quelle condivise, come giustamente rilevato nel documento in consultazione “l’insegnante coinvolge direttamente gli allievi nell’organizzazione istituzionale del contesto educativo: tempo, spazi, elaborazione di regole condivise…”. Per poter essere condivise le regole devono essere scritte insieme, mentre si ha l’impressione che alla redazione non abbia partecipato nessun docente.
Documenti di tale portata dovrebbero necessariamente scaturire dal confronto con tutte le parti in causa, altrimenti rimangono flatus vocis. Essi dovrebbero inoltre (ma ci rendiamo conto sarebbe stato oneroso) sempre contenere, almeno in appendice, documenti che illustrino quali sono le condizioni che permettono l’attuazione di quanto auspicato, condizioni che ne favoriscano la differenziazione e dispositivi che mostrino cifre, tempi, allocazione delle risorse e sostenibilità dei progetti. Riteniamo infatti che oggi le condizioni non ci consentano di realizzare con serenità alcuni principi pedagogici, quali a titolo di esempio “sa organizzare opportunità di apprendimento diversificate a dipendenza delle potenzialità e delle caratteristiche dei vari allievi” oppure “interpreta correttamente sintomi di difficoltà e disagio” (3.3). Questa situazione genera evidentemente frustrazione.
Chiediamo quindi un nuovo documento che sappia correggere gli aspetti lacunosi visti in precedenza e in particolare:

  • Evidenzi le diverse abilità richieste a un docente in formazione rispetto a un docente con anni di esperienza professionale, come pure tra i docenti dei diversi gradi scolastici.
  • Chiarisca le competenze minime richieste per l’ammissione dei candidati al DFA e lungo l’arco della carriera, indicando chiaramente anche chi sarà chiamato a “vigilare”.
  • Dia un ruolo centrale alla cultura e ne definisca la valenza con maggior chiarezza.
    Sostenga l’autonomia e la libertà del docente, elementi che costruiscono il suo senso di responsabilità nei confronti della professione. Formulazioni quali “sa disimparare quando necessario” (3.3) sono in contrasto con questo e andrebbero contestualizzate.
  • Delimiti chiaramente il ruolo del docente in funzione della sua formazione, evitando quindi richieste non solo inadeguate, ma persino pericolose quali “si prende cura di lui (allievo) in funzione della sua integrità fisica, psichica e morale” (3.2) che corre il rischio di essere intesa come la presa a carico da parte del docente di problematiche che travalicano l’ambito scolastico, quando sarebbe stato sufficiente ricordare il diritto alla salute che ogni cittadino ha garantito.
  • Sappia utilizzare e spiegare con maggior chiarezza il termine “competenza”, evitando quindi formulazioni da un lato troppo vaghe come “testimonia con la propria azione la sua coerenza con il modello etico di riferimento” (3.2) e dall’altro anche pericolose nella loro universalità quali “l’insegnante è in grado di condurre ogni allievo a conseguire almeno degli obiettivi minimi” (3.3).