Nelle nostre scuole si sta sempre più diffondendo il progetto La gioventù dibatte, una proposta didattica sostenuta dal DECS quale strumento di educazione alla cittadinanza. La partecipazione ai corsi di formazione atti ad abilitarsi all’uso di questa pratica è fortemente auspicata dalle autorità scolastiche. 

In questo quadro, vi sono stati insegnanti che si sono posti alcune domande sul significato e il valore del progetto. Nessuno contesta il fatto che sia importante promuovere nelle scuole la pratica del confronto su temi di più o meno stretta attualità, ed è ciò che positivamente La gioventù dibatte fa. Ma ciò nulla toglie al fatto che le perplessità sul progetto che ci sono pervenute non abbiano una loro pertinenza. Ne riassumiamo dunque qui di seguito alcune:

  1. Le attività legate al progetto sono promosse e gestite da YES, un’associazione finanziata da aziende, istituti bancari e assicurativi, il cui scopo è la creazione di programmi di formazione economica rivolti ai giovani. Sul sito di YES si legge che “l’associazione si rivolge ai giovani, insegnando loro a comprendere le relazioni economiche e sociali, ad agire in veste imprenditoriale e a convincere con la propria personalità”. Crediamo che si tratti di una definizione assai discutibile degli obiettivi di cui, nella scuola pubblica, l’educazione alla cittadinanza dovrebbe dotarsi. Per quale motivo si è deciso di delegare a un ente privato esterno, espressione evidente di una determinata visione della società e dell’economia, un’attività che sta assumendo un’indiscutibile centralità nelle scuole? Corsi di formazione per docenti e concorsi finali degli allievi si svolgono in luoghi in cui sono messi in mostra i cartelloni degli sponsor, l’associazione YES e il Lions Club ticinese. A quando la possibilità di affiggere in bella evidenza anche nelle classi cartelloni pubblicitari?
  2. Punto d’arrivo, per le classi che decidono di aderire al progetto, è un concorso di dibattito, che si svolge dapprima a livello cantonale e poi nazionale. Si tratta di una vera e propria competizione in cui gli allievi, schierati a coppie, si sfidano argomentando su temi di interesse generale. Solo i ragazzi più capaci nell’arte oratoria (cioè in gran parte dei casi i più dotati scolasticamente) partecipano al dibattito, gli altri fanno da pubblico. Siamo certi che questa formula sia la migliore per promuovere una scuola inclusiva e democratica? Perché, per educare i nostri allievi al dibattito, è necessario prevedere forme di confronto che assumono le vesti della gara, che si propongono di premiare per l’ennesima volta chi già costantemente è premiato nel lavoro scolastico?
  3. Il progetto La gioventù dibatte chiede ai ragazzi di dibattere difendendo l’opinione che estraggono a sorte, indipendentemente dalle loro convinzioni. Se da un lato tale pratica aiuta a relativizzare i punti di vista, intento di per sé interessante, d’altro canto, quando diventa la regola, tende a dimenticare il fatto che accompagnare i giovani alla formazione di una propria opinione è un compito che non può essere ridotto all’acquisizione di buone tecniche (ad esempio, la capacità di documentarsi adeguatamente), ma deve prevedere anche la sottolineatura del nesso di coerenza da coltivare tra la propria scala di valori, etici e morali, e l’opinione che si difende su un determinato tema. Le modalità del progetto, insomma, sembrano suggerire l’idea che  per essere cittadini capaci basti riuscire a convincere il prossimo con l’arma della retorica. Un approccio, questo, che rischia di strizzare eccessivamente l’occhio a un mondo in cui domina la tendenza a mettere in primo piano le capacità persuasive a scapito dei valori e dei contenuti.