La scorsa primavera diverse associazioni di insegnanti e i sindacati si sono riuniti in un Forum ed hanno indirizzato al capo della Divisione Scuola Emanuele Berger una lettera comune chiedendo un maggior coinvolgimento degli insegnanti e delle organizzazioni dei docenti nell’elaborazione della riforma della scuola dell’obbligo. Da questa richiesta è nata la Piattaforma di dialogo sulla scuola che verrà, riunitasi per la prima volta nel mese di ottobre.

Il testo che qui presentiamo è un documento di lavoro elaborato e discusso in seno al comitato del Movimento della Scuola. Nonostante il suo carattere provvisorio, vuole essere una traccia di lavoro per il rappresentante del MdS in seno alla Piattaforma, quale mandato da parte dell’assemblea.

Dopo aver preso atto della ricchezza dei commenti emersi nel corso della consultazione avvenuta nella seconda parte dello scorso anno scolastico, il comitato del Movimento della Scuola sta lavorando per offrire un proprio contributo al dibattito che si è sviluppato attorno alle proposte di riforma del settore della scuola dell’obbligo contenute nel fascicolo “La scuola che verrà” (novembre 2014) e, successivamente, con la più recente pubblicazione del nuovo Piano di studio (luglio 2015).

Crediamo che molte delle osservazioni che i collegi dei docenti, i singoli colleghi intervenuti pubblicamente o le associazioni sindacali hanno messo per iscritto, dovranno essere tenute in debita considerazione nel prosieguo dei lavori[1]. Su alcuni temi sono state espresse considerazioni discordanti, su altri invece si legge una convergenza di vedute e di preoccupazioni. Tutte vanno prese in considerazione, le prime perché contribuiscono ad alimentare il necessario dibattito e le seconde perché esprimono esigenze ampiamente condivise da chi vive la scuola quotidianamente. Nel loro complesso esse hanno il pregio di imporre quelle operazioni che risulta indispensabile fare di fronte a riforme della portata di quelle prospettate: la problematizzazione delle questioni, il vaglio critico delle implicazioni delle proposte formulate, la messa in prospettiva dei cambiamenti che si annunciano, il confronto dialettico tra visioni diverse. Si tratta di operazioni che – lo si fa osservare senza nessuna intenzione polemica – difficilmente possono riuscire efficaci attraverso un sondaggio on line, che può senza dubbio avere altre utili finalità ma che non è fatto per coinvolgere attivamente gli operatori scolastici: esso tende ad assumere piuttosto l’impronta del referendum pro o contro una determinata proposta ed esclude il dibattito collegiale.

Ora che un numero consistente di plenum degli insegnanti si è espresso, ci è sembrato opportuno sviluppare qualche considerazioni su cinque aspetti ai nostri occhi cruciali.

 

TRACCIA PER UN CONTRIBUTO SULLE RIFORME

 

  1. Un ‘punto di partenza’ che non convince
  • Ci si propone di cambiare la scuola per migliorarne l’efficienza (!) e/o per farla stare al passo con i tempi, si avanzano quindi diverse proposte concrete, ma si espellono dalla riflessione sia il tema del senso ultimo, del mandato fondamentale, della scuola, sia un bilancio di quanto oggi funziona e di quanto invece necessiterebbe di un cambiamento.
  • Non si fa cioè quanto fu fatto in occasione della nascita della scuola media quarant’anni fa, quando le riforme si inserivano dentro il dibattito sulla democratizzazione degli studi e sulla funzione potenzialmente emancipativa dell’accesso alla cultura, quando ci si propose di superare una scuola e un modo di insegnare elitario e autoritario.
  • Oggi ci si limita a ribadire il valore di principi generali che dentro quella stagione affondano le loro radici (l’equità, l’inclusione, l’educabilità) e a dichiarare la volontà di continuare a garantirne il rispetto in un contesto storico mutato. Ma le proposte che si fanno hanno veramente questa valenza?

 

  1. La scuola basata sull’approccio per competenze non mette in discussione la centralità della trasmissione dei saperi (della cultura) nell’educazione delle future generazioni?
  • L’approccio per competenze è uno dei cardini della “scuola che verrà”, questa scelta non è mai stata veramente oggetto di dibattito o di consultazione.
  • L’approccio per competenze significa costruire scopi ultimi e finalità formative dell’intervento didattico-educativo attorno alla spendibilità nel mondo reale di quanto si apprende a scuola. Si introduce esplicitamente un primato della dimensione utilitaristica della scuola; si marginalizza l’idea del primato dell’accesso alla cultura quale principale canale attraverso cui educare e costruire il futuro cittadino.
  • Si rovescia quel rapporto tra mezzi e fini che si proponeva al momento della nascita della scuola media, quando assunse centralità il tema della democratizzazione della scuola. All’epoca, nell’ambito della lotta al carattere elitario delle conoscenze scolastiche e al fine di superare il modello autoritario-trasmissivo dell’insegnamento, si incentivarono un tipo di scuola e modelli d’insegnamento capaci di garantire l’accesso alla cultura attraverso pratiche di stampo attivistico: si coltivò il “fare” a scuola – cioè si pose un’attenzione particolare alle abilità, agli atteggiamenti, alle operazioni cognitive da sviluppare – convinti che per questa via era possibile garantire maggiormente a tutti l’accesso alle conoscenze, che rimaneva il terreno dal quale partire per definire le finalità ultime della scuola (quali contenuti, quali conoscenze, quale cultura garantire alle future generazioni?).

Oggi invece le conoscenze perdono valore in sé e vengono ridotte a semplici (ed intercambiabili) risorse, cioè mezzi, grazie alle quali proporsi di coltivare delle competenze: abilità, atteggiamenti, operazioni cognitive da sviluppare, in questo contesto da mezzi diventano fini. La riflessione sulle finalità ultime della scuola si sposta su quest’altro terreno (quali competenze coltivare?).

  • Il Movimento della Scuola si impegna a far emergere tutte le problematicità dell’approccio per competenze e a sottolineare la centralità della cultura nella ridefinizione di un progetto di scuola.

 

  1. La differenziazione declinata attraverso il concetto di personalizzazione non indebolisce il principio dell’equità?
  • Il concetto di personalizzazione sostituisce quello di individualizzazione quale principio su cui basare lo sforzo teso a gestire l’eterogeneità. Esso prevede che la differenziazione degli obiettivi pedagogici sostituisca uno dei pilastri delle pratiche di differenziazione del passato, cioè la differenziazione dei percorsi nell’ambito però di pratiche di insegnamento/apprendimento dotate degli stessi obiettivi.
  • La differenziazione pedagogica, strumento la cui utilità nessuno mette in discussione, rischia allora di diventare – nell’ambito di un percorso improntato alla personalizzazione – una via attraverso cui si ‘congelano’, addirittura si rafforzano, le differenze sociali e culturali. Non si indebolisce così la volontà di offrire pari opportunità e di garantire un bagaglio culturale e di conoscenze comune all’uscita dalla scuola dell’obbligo?
  • Il Movimento della Scuola si impegna a vigilare affinché l’auspicata personalizzazione dei percorsi formativi, e la conseguente diversificazione delle forme didattiche, non sfocino in un indebolimento dello sforzo teso a “correggere gli scompensi socio-culturali”.

 

  1. Con la scuola che cambia non muta anche la natura (e l’attrattiva) della professione insegnante?
  • Negli ultimi decenni la scuola è stata caricata di innumerevoli compiti supplementari: il suo mandato educativo diventa sempre meno chiaro e sempre più si allarga a questioni che prima non erano ‘scolastiche’ in senso proprio. La scuola sta diventando sempre più una ‘grande famiglia’, un luogo di socializzazione, sempre meno luogo deputato allo studio. Senza negare la pertinenza di molti di questi bisogni, ci si chiede se la loro delega sistematica alla scuola non raggiunga ora livelli eccessivi.
  • Dentro questa tendenza, sta mutando piano piano anche l’identità professionale del docente: sempre meno ‘persona di cultura’, dotata di una riconosciuta autonomia intellettuale, sempre più operatore socio-educativo, funzionario con mansioni di tipo esecutivo.
  • Il profilo del docente che emerge dagli ultimi documenti delle autorità scolastiche, tra questi anche il fascicolo La scuola che verrà, è sempre più in sintonia con questo cambiamento strisciante. Il docente è sempre meno inteso come ‘persona di scuola’, cioè una persona che si sente parte di un’istituzione alla cui credibilità offre il proprio impegno critico (cioè dotato di autonomia). L’insegnante è sempre più concepito come membro di una comunità professionale, quella del proprio istituto, alla cui attività ed efficienza contribuisce con il suo lavoro. È un concetto più vicino a quelli in auge a livello aziendale.
  • Parallelamente, sotto la spinta del dilatarsi degli oneri attribuiti alla scuola, i carichi di lavoro dei singoli insegnanti sono notevolmente cresciuti in termini quantitativi. Sia le proposte concrete illustrate ne La scuola che verrà (la generalizzazione della pratica della differenziazione pedagogica, l’adozione di forma didattiche differenziate, il co-teaching, solo per fare qualche esempio), sia l’approccio per competenze su cui si basa il nuovo Piano di studio, sono a loro volta elementi che spingono verso crescenti richieste di investimento di tempo e di energie da parte dei singoli docenti. Un riconoscimento pertinente non può ridursi ad una singola ora di sgravio qua e là.
  • Il Movimento della Scuola è fortemente preoccupato di fronte alla strisciante funzionarizzazione della figura del docente, intende contrapporvi la centralità della dimensione intellettuale della professione e la sua intrinseca autonomia di lavoro; ritiene inoltre fondamentale un maggior coinvolgimento del corpo insegnante nell’elaborazione dei progetti di riforma.

Il Movimento della Scuola si impegna pure a richiedere una ridefinizione degli oneri lavorativi e un ripensamento generale delle condizioni-quadro all’interno delle quali gli insegnanti si trovano ad operare, misure urgenti e propedeutiche a qualsiasi riforma.

 

  1. I nuovi approcci al tema della valutazione non aumentano eccessivamente il controllo certificativo sugli allievi?
  • Non si manca oggi occasione per ribadire l’importanza delle attività valutative nei processi d’insegnamento/apprendimento. Si dice che esse sono un momento imprescindibile per rendere efficace il rapporto educativo (in funzione soprattutto degli allievi maggiormente in difficoltà), se ne sottolinea insomma – giustamente – soprattutto la dimensione formativa.
  • Sotto la spinta di questo approccio, vi è la tendenza ad estendere a dismisura gli ambiti in cui formalizzare le pratiche valutative. Perdono d’importanza quelle legate ai saperi appresi, a favore di quelle relative alle competenze acquisite (le abilità, i comportamenti).
  • Nel momento in cui la valutazione così intesa assume però anche un carattere certificativo (va in questa direzione l’ipotizzato ‘profilo delle competenze’), è evidente che molti dei buoni propositi relativi a una scuola del futuro “dal volto più umano” rimarrebbero sulla carta. Il moltiplicarsi delle occasioni in cui a prevalere sarà – da parte degli insegnanti – la preoccupazione tassonomica di verificare il grado di competenza degli allievi in un infinito numero di ambiti, mentre – da parte dei ragazzi – a crescere sarà l’assillo della prestazione, non ci pare una preoccupazione fuori luogo, anche alla luce di esperienze simili sperimentate al di fuori dai nostri confini.
  • Infine, non va sottovalutato il rischio che la valutazione diventi discriminatoria per chi non raggiunge le competenze in modo soddisfacente. Un certificato delle competenze acquisite alla fine della scuola dell’obbligo – cioè una ‘fotografia’ delle capacità non solo cognitive ma pure emotive e relazionali di una ragazza o un ragazzo di 15 anni – potrebbe restare la massima qualificazione di un cittadino per gli anni a venire. Anche nel caso in cui la trasmissione di talune informazioni dovesse restare prerogativa del singolo ex-allievo, il rifiuto di fornirle assumerebbe comunque una valenza agli occhi del potenziale datore di lavoro.
  • Il Movimento della Scuola si impegna a vigilare affinché il dilatarsi degli ambiti educativi nei quali si intendono inserire le attività di valutazione non sfoci in una pericolosa ‘schedatura’ dei singoli allievi, oltre che in un aumento smisurato e ingiustificato degli oneri amministrativo-burocratici a carico degli insegnanti.

 

  1. La proposta di estensione dell’autonomia degli istituti e di chi li dirige non indebolisce a sua volta il principio dell’equità?
  • Nell’ambito dei cambiamenti prospettati si avanza l’ipotesi di dotare le sedi di maggiore autonomia nella “gestione del personale e delle decisioni concernenti le risorse finanziarie, la programmazione e la struttura”.
  • L’ipotesi in campo prevede che i direttori possano scegliere autonomamente il personale della propria scuola: pessima scelta, che rischia di inquinare in senso eccessivamente fideistico i rapporti tra insegnanti e direzione, di ridurre i margini per la presenza di posizioni e sguardi diversi in seno al corpo docenti di un istituto.
  • L’autonomia dovrebbe essere anche gestionale e finanziaria. Vanno sottolineati a questo proposito i rischi di una differenziazione dell’offerta formativa delle diverse sedi scolastiche, che potrebbe sfociare in un clima di concorrenza (tra docenti, tra scuole) catalizzando energie non per forza costruttive. Laddove il territorio è già socialmente o economicamente sfavorito, ci si ritroverà inoltre con scuole di serie B?
  • Il Movimento della Scuola è critico nei confronti della proposta di estensione dell’autonomia degli istituti così come è declinata nei documenti dell’autorità scolastica. In particolare ritiene fondamentale che l’assunzione e l’assegnazione alle sedi degli insegnanti continui ad avvenire a livello cantonale.

 

 

 

[1] Le diverse prese di posizioni sono consultabili sul nostro sito: movimentoscuola.ch