Pubblichiamo l’interessante articolo di Gianni Ghisla apparso il 31 gennaio scorso sulla Regione.

di Gianni Ghisla – da LaRegione, 31.01.2014
In questi ultimi giorni è tornata d’attualità la Scuola media, anche in ambito parlamentare, e vi è chi vorrebbe risolverne i non facili problemi abolendo i cosiddetti livelli. La cosa è sintomatica. Nel suo insieme la scuola, e quindi non solo la Scuola media, si trova in una situazione difficile, di grandi sfide, derivanti da una società che sta cambiando radicalmente, e non è più in ‘semplice’ processo di trasformazione come negli anni 60 e 70, quando in Ticino abbiamo realizzato e vissuto una delle più grandi riforme nell’assetto scolastico. Per questa ragione sarebbe auspicabile che possano darsi anche oggi – come fu il caso a quell’epoca – un confronto e una discussione anche fuori dai consessi parlamentari e dagli ambienti degli stretti addetti ai lavori, così da coinvolgere la società civile, i genitori, la cultura, l’economia. La scuola è una delle nostre istituzioni più preziose e al tempo stesso un capitale a garanzia del futuro delle nuove generazioni: sarebbe irresponsabile se non riuscissimo a farne oggetto di riflessione per trovare un consenso culturale e politico sugli indirizzi che dovrà assumere in futuro.

Evitare le scorciatoie

Prossimamente il Decs presenterà il nuovo Piano di formazione che dovrà rispondere alle esigenze di armonizzazione poste a livello nazionale dal mandato costituzionale votato nel 2006 (art. 62).

Occorre evitare quello che sta succedendo attualmente nella Svizzera tedesca, dove il cosiddetto Lehrplan 21 (il programma dei 21 Cantoni svizzero-tedeschi), un’imponente documento di oltre 550 pagine, fatica a trovare accesso in un pubblico che va oltre gli addetti ai lavori e, di conseguenza, non può essere vissuto che come uno strumento di imposizione formale e burocratica sulla scuola.

Mi pare che valga la pena, proprio nella prospettiva di un auspicato dibattito aperto e se necessario serrato, tenere presenti alcune scorciatoie, di cui è appunto sintomatico l’attuale modo di procedere sulla Scuola media, scorciatoie a mio avviso da evitare nella ricerca di soluzioni appropriate ai problemi della scuola e nella definizione dei suoi indirizzi futuri.

I ritocchi strutturali

La prima scorciatoia è quella dei ritocchi strutturali. Prendiamo proprio l’esempio della Scuola media. La sua difficile situazione è solo parzialmente dovuta a problemi interni e di struttura, perché entrano in gioco il profilo dei giovani adolescenti, le aspettative della società, dei genitori, delle scuole susseguenti, dell’economia ecc. I cosiddetti livelli ne fanno stato. Pur nella consapevolezza che sono un nodo importante della questione, pensare di fare passi avanti con la loro abolizione è un classico trabocchetto.

Piuttosto occorre capire perché funzionano male (abbiamo di fatto più del 60% degli allievi nei livelli 1 e meno del 40% nei livelli 2, quando nelle intenzioni originarie il rapporto doveva essere esattamente inverso) e tenere in considerazione che se non si accresce l’attrattività della formazione professionale per ridurre la pressione sull’insieme della Scuola media e sul suo taglio “intellettualistico”, il problema non potrà certo essere risolto con adattamenti di struttura.

I programmi

La seconda scorciatoia risiede nei programmi. Come detto, prossimamente, verranno pubblicati i nuovi programmi della scuola dell’obbligo. Quanto possiamo osservare nella Svizzera tedesca lascia trasparire l’idea che la scuola possa essere pilotata fin nelle singole attività realizzate dall’insegnante in classe con una fitta rete di disposizioni, definite dagli esperti in termini di obiettivi di apprendimento o competenze.

Una tale impostazione dei programmi è specchio di un mondo dove le cose devono funzionare piuttosto che avere un senso e comporta il forte rischio di dimenticarsi dei contenuti e del sapere – non è forse il sapere il principale garante della nostra libertà e del nostro benessere? –. Altrettanto grave è poi il fatto che in questo modo si degradano gli insegnanti ad una classe di esecutori, mettendone a repentaglio la professionalità.

Le tecnologie

La terza scorciatoia è quella delle tecnologie. Che le tecnologie, soprattutto quelle della comunicazione, entrino nella scuola non è solo comprensibile, ma un’opportunità e, a fronte dell’evoluzione della società, indispensabile. Tuttavia il fascino delle tecnologie alimenta la tentazione di attribuire loro poteri e qualità esclusivi, quasi taumaturgici.

E non sono pochi, anche da noi, i missionari e gli sciamani che se ne fanno portavoce e che volentieri eclissano il fatto che le tecnologie sono esse stesse pure fonte di problemi. Una lavagna interattiva come tale significa poco o nulla per la scuola, in assenza di insegnanti capaci di farne un uso ponderato e critico.

Questo mi porta a dire che abbiamo un grande bisogno di insegnanti. Di insegnanti che siano in grado di assumere il proprio ruolo con coraggio e determinazione, e svolgano il proprio lavoro con passione, nella certezza che i giovani, quando incontrano attenzione, disponibilità e in particolare autorevolezza, rispondono in modo positivo e gratificante.

Sappiamo che anche in Ticino la maggior parte della gente nutre ancora una notevole fiducia negli insegnanti e tiene il loro lavoro in grande considerazione. Questa è la base affinché possano essere messi nelle condizioni di svolgere al meglio il loro compito.

Quindi anche gli interventi istituzionali, di pianificazione o di adozioni tecnologiche vanno commisurati alle possibilità proprio di favorire queste condizioni.

La formazione degli insegnanti

Con ciò arrivo alla quarta scorciatoia che è piuttosto un’insidia e attiene proprio alla formazione degli insegnanti. Da quasi quarant’anni sono impegnato in questo non facile ma affascinante e appagante compito e mi sono reso conto quanto le mode siano infide: così oggi sembrerebbe che l’insegnante, piuttosto che essere guida autorevole, modello e in special modo “colui che insegna un sapere” debba trasformarsi via via in formatore, facilitatore, consulente, tutor, mentor, coacher, accompagnatore, mediatore e quant’altro, al punto che la sua identità professionale ne risulta offuscata.

Sovente l’insegnante non sa più chi possa e debba essere, con non poche ricadute sulla sua sicurezza e sui suoi equilibri. La padronanza dei saperi da insegnare deve restare la condizione principe per il mestiere dell’insegnare, ma non è affatto sufficiente e può essere finalizzata solo con una competenza professionalizzante specifica alla cui base vi sia la didattica.

Proprio attraverso questo atto formativo bisogna riuscire a riguadagnare la centralità dell’insegnante per una scuola dal volto umano. Allora potremmo guardare anche alle altre misure con ottimismo e fiducia. Sarebbe utile che se ne discuta, nell’interesse degli insegnanti stessi, e soprattutto del cantone e del suo futuro.